UNA MATTINA TI SVEGLI E... - RACCONTO DI ALESSIA

 



Era inverno, ero uscita di casa come ogni mattina della settimana per prendere il bus che mi avrebbe portato a scuola. Chiusi il portone e andai verso la fermata… Come sempre avevo la scarpa slacciata, mi piegai stranamente per allacciarla e mi iniziò a far male la testa. Non riuscivo più a vedere niente. Anche la mia migliore amica uscì di casa e mi vide in stato di confusione, mi toccò e mi ripresi. Stavamo camminando, lei mi stava parlando, ahimè non riuscivo a stare concentrata. Il bus arrivò, salii e le mie compagne mi diedero il buongiorno, provai anche io a dire buongiorno, ma non ci riuscii. Pensavo che fosse normale, tipo un trauma che subisco ogni mattina per svegliarmi. Le mie amiche iniziarono a parlarmi: lo avevano capito tutti che non ero in me. Mi chiesero se stavo bene, alzai il pollice senza neanche provare a dire una parola perché sapevo che sarebbe stato inutile parlare. Arrivammo a scuola, scesi dal pulmino e avanzai verso l’ingresso della scuola. Era tutto così strano, era come se stessi sognando eppure percepivo anche il dolore, avevo provato molte volte a darmi dei pizzicotti per capire se ero nel presente e stavo vivendo tutto ciò e infatti ero proprio lì.

Quel giorno avrei avuto un’interrogazione,  stava diventando un incubo.

La prof stava aspettando felice in classe, lei felice ed io ansiosa, ora capivo cosa provano ogni giorno i sordomuti. Ma certo! Quell’estate avevo imparato “la lingua muta”!

L’insegnante mi chiamò: ero sicura di me stessa, andai verso la cattedra e con due gesti di qua e due gesti di là presi un bel 9. Ero stata fortunata, molto fortunata. Suonò la campanella per il cambio di professori e cosa potevo avere dopo un’interrogazione? PERCHE’ non un tema?

L’unica cosa era scrivere in silenzio, anche perché non potevo parlare. La prof consegnò senza neanche pensarci due volte le tracce e iniziò il tempo: presi in mano la penna e non sapevo più scrivere. L’unica cosa che potevo fare era andare a casa. Il tempo scorreva, sudavo freddo: o dicevo che non sapevo magicamente né scrivere né leggere o andavo a casa. “Magari la prof capirà” pensai; mi alzai e intimorita raggiunsi la cattedra: con i gesti le dissi che non riuscivo né a parlare e né a scrivere, insomma le confidai i miei problemi.

La prof capì e mi rispose che era “NORMALISSIMO” . Mi rimandò al tema e spiegò alle altre prof i miei problemi: ero felice! Finalmente da incubo era diventato sogno. Insomma, avevo trovato un modo per comunicare.


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